Scriveresti di Alex?

di Gianfranco Bettin – Alex era appena stato ritrovato – il 4 luglio 1995, la sua morte risaliva al giorno prima – e la notizia aveva appena incominciato a circolare quando mi ha telefonato Giorgio Lago, direttore del Gazzettino e amico.
E’ morto suicida Langer, mi ha detto, vorrei che lo commentassi per noi.
Sono rimasto senza parole, senza fiato.
Lago ha insistito, con gentilezza: Scriveresti di Alex?
Lo conoscevo da una ventina d’anni, da prima dei Verdi, che poi avremmo fondato insieme, all’inizio degli anni ’80. Qualche sera prima c’eravamo sentiti: da Roma, con Adriano Sofri, uno dei suoi migliori amici, e alcuni inviati di guerra (Riva, Zaccaria, Bugno…) avevamo discusso dei nostri rispettivi libri dedicati alla guerra in Bosnia a un festival letterario, in Campo de’ Fiori. Sul tardi, avevamo telefonato ad Alex, che forse era a Firenze, per salutarlo, un po’ tutti. Sapevamo di quanto fosse affranto, per la piega tremenda che stava prendendo la guerra per la popolazione civile tutta e per i bosniaci in particolare, a Sarajevo, a Tuzla, a Srebrenica…
Non sono riuscito a scrivere molto né cose speciali, ma Lago ne fece il commento di prima pagina, soprattutto perché stimava molto Alex. Quel commento immediato – un ritaglio che ho ritrovato dentro un libro di suoi scritti, ripreso in mano per ricordarlo oggi pomeriggio a FAHRENHEIT Radio Tre – lo ripubblico in parte qui perché, a suo modo, 25 anni dopo, mi sembra un reperto del tempo, dello stato d’animo mio – poca cosa – e di tanti e tante che avevano conosciuto Alex ed erano rimasti così, senza parole e senza fiato.

ALEX, la fragilità e la forza
da Il GAZZETTINO, 5 luglio 1995

E’ difficile credere a questa morte di Alex. E’ difficile sapendo quanto amasse la vita e quanto fosse radicalmente estraneo a ogni forma di violenza e distruttività. Ma diventa, dolorosamente, meno difficile crederci se riusciamo a vedere – con la terribile luce retroattiva che questa morte getta – la solitudine, l’angoscia che devono aver invaso Alex negli ultimi anni.
Chi lo conosceva ne ha ben presente la capacità di partecipare ai drammi e alle tragedie dell’epoca. Di sentirsene parte esistenzialmente, non solo politicamente o culturalmente. In questo senso, è stato davvero un testimone speciale del nostro tempo, oltre che un protagonista diretto di alcuni dei momenti e dei movimenti più significativi di questi decennii. Un testimone che oggi sentiva sempre più insopportabile, in particolare, l’impotenza di fronte al massacro di Sarajevo.
Chiunque lo incontrasse negli ultimi tempi avvertiva questa pena, certo esasperata e complicata da una vita faticosa, al limite della consunzione. Forse sta qui il nodo nevralgico, la prima spiegazione, forse di superficie, della sua morte. Rimane il mistero di tanta disperazione in un uomo che aveva saputo mostrare le vie di un impegno possibile: con mitezza e con saggezza, con intelligenza, nutrendosi dei sentimenti migliori di cordialità e di umanità e di una ricerca e passione culturale inesauste.
Fin da prima del ’68, da prima dell’impegno nei Verdi, giovanissimo, Alex ha cercato strade nuove ai problemi che la sua generazione vedeva aperti nel mondo. Conobbe, ad esempio, a Barbiana, don Lorenzo Milani e ne tradusse in tedesco la “Lettera a una professoressa”.
Nella politica italiana era, da tempo, emarginato, perché più spesso, anche nei movimenti alternativi, si premiano i furbastri e i cialtroni.
Lo avremmo voluto più aggressivo, a volte, proprio per togliere spazio a costoro.
Ma, ora sappiamo, ci mancherà la sua stessa fragilità, che rende più grande il suo impegno generoso.

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