E la scuola chiude ancora, lasciando studenti, studentesse, genitori e personale della scuola con l’amaro in bocca. La differenza rispetto al passato è che ora sappiamo cosa ci aspetta: sappiamo che la didattica a distanza non raggiunge tutti, non è inclusiva ed è solo una pallida imitazione del rapporto tra studente e insegnante. Sappiamo anche che non tutto quello che era in potere alle istituzioni fare è stato fatto.
Torniamo per un attimo a scuola: alzi la mano chi crede che la mancanza di mezzi pubblici sia un problema nato questo ottobre. Chi non aveva mai visto i treni, gli autobus e le corriere del mattino stipati; chi non ha mai sperimentato il traffico delle otto davanti alle scuole.
Ci stupiamo davvero del fatto di non avere gli spazi per il distanziamento sociale? Dovremmo forse ricordare che da decenni si parla di classi pollaio, in cui si chiede ai docenti di aver cura di trenta ragazzi e ragazze con le loro potenzialità e le loro difficoltà, le loro storie e i loro sogni, riuscendo anche a insegnare la propria materia.
Immaginiamo per un momento che tutto questo lavoro, tutta questa relazione educativa, debba instaurarsi ogni anno da capo in una scuola diversa. Spesso iniziando a insegnare un mese dopo la prima campanella, sempre con nuovi alunni, genitori, colleghi e dirigenti da conoscere. Questa è la situazione che da molti anni affrontano le centinaia di migliaia di precari della scuola, che vedono continuamente rimandata la possibilità dell’entrata in ruolo e con essa la sicurezza economica, condizione minima per progettare una vita serena.
L’emergenza sanitaria esacerba tutto ciò e la mancanza di prospettive toglie il fiato. È esasperante pensare di aver avuto mesi per muovere i primi passi verso il cambiamento e trovarsi invece nella stessa condizione di febbraio e di sempre.
Chi davvero tiene alla scuola non può che muovere un severo atto di accusa: a chi non ha il coraggio di pensare seriamente alla mobilità, potenziando trasporto pubblico e la viabilità green. A coloro che non pensano a un serio piano di investimenti per la scuola (edilizia e innovazione, non banchi a rotelle!). A chi non vuole risolvere il problema del precariato, perché un insegnante a tempo determinato costa meno, è più fragile e quindi più facilmente controllabile. A istituzioni che si rimpallano la responsabilità di chiudere la scuola, senza avere il buon senso di guardare ad altre realtà europee, dove lockdown ben più severi del nostro sono già attivi, ma gli studenti possono ancora andare in classe.
In definitiva l’accusa è contro un sistema che mette sempre all’ultimo posto l’educazione, non ha il coraggio di interrogarsi su come vogliamo crescere i giovani e quale sia il futuro per la nostra Italia; non solo superato l’ostacolo del Covid, ma con molta più lungimiranza, in un paese sempre più anziano, logoro e stanco. Non si ha la volontà di rendersi conto che l’unico scenario possibile per risanare l’Italia prevede la cura dei giovani e questa cura si realizza solo attraverso la relazione educativa. Relazione costante, valorizzata e… in presenza.
Isabella Scortegagna e Francesco Negro
Verdi Europa Verde Treviso
Daniele Tiozzi e Elisa Casonato
Co-Portavoce Federazione Provinciale dei Verdi Europa Verde Treviso